Mi sono recato, pieno di ovvia curiosità alla mostra allestita a Roma. La stessa è stata proposta dalla "Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico e Artistico ed Etnoantropologico per il Polo Musicale della città di Roma", con il patrocinio sia del "Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali dell´Università di Chieti"che del "Dipartimento di Storia Arte e Spettacolo dell´Università della Sapienza di Roma". È un´introduzione necessaria perché rende merito a quanti hanno proposto questa non facile iniziativa di grande interesse su un pittore poco conosciuto o comunque considerato a torto o a ragione tra quelli che "non hanno più di tanto inciso sulla storia dell´arte", e quindi in coerenza con la missione di Belle Arti srls, la quale ricordo si propone soprattutto la valorizzazione di un patrimonio non del tutto conosciuto.
Personalmente la mia conoscenza "visiva" del Saraceni era limitata ad una pala presente nella Basilica in Roma, Piazza San Lorenzo in Lucina. Del quadro, oltre la rappresentazione di un unico chiodo nella croce, invece dei soliti e naturali tre chiodi, che conferiscono allo stessoun simbolismo del tutto ascetico, ho ammirato la lucentezza dei colori presenti sia in San Borromeo che nei chierici presenti, con predominanza evidentemente del rosso e del bianco in uno sfondo dal grigio al nero. Un buon quadro nel quale San Carlo Borromeo ricorda l´estremo sacrificio del Cristo, già evidentemente risorto, tra un misto di ammirazione ed interesse dei presenti. È una pala dalle dimensioni importanti ma non imponenti. (Vedi dipinto n. 1). Sulla pala torneremo nel prosieguo. Ma veniamo al Saraceni ed alcuni dei dipinti a lui attribuiti. Cercheremo di investigare sul come si inserisce questo pittore nel panorama dei pittori dell´inizio del seicento o di fine cinquecento, quali Jacopo Dal Ponte detto Jacopo Bassano, Giovanni Battista Caracciolo, il Domenichino, i Gentileschi, Pietro da Cortona, o altri personaggi più noti quali Annibale Carracci o il Caravaggio, o guardando oltre frontiera lo Spagnoletto, il Rubens, il Rembrandt o i vari Veneti della sua zona d´origine quali il Tiziano e il Tintoretto. Cercheremo di rispondere alla domanda alla fine di questo elaborato. Ma andiamo oltre, e cerchiamo di inquadrare lo scenario politico nel quale operava principalmente il Saraceni, e veniamo allo Stato Pontificio e alle grandi famiglie legate al potere temporale. Erano gli anni in cui Roma incoronò papa, prima Clemente VIII e poi Urbano VIII, papi contraddistinti, sia quali politici di razza capaci di rallentare le turbolenze in campo europeo, sia di frenare le spinte aperturiste della Chiesa verso un mondo che si affacciava a scoperte globali, sia di dare notevole impulso tanto all´arte, quanto alle opere pubbliche e ad ogni iniziativa che potesse meglio illuminare il potere temporale quale potere frutto di "centralismo". In questo contesto si affaccia un pittore di buone maniere, che opera nel mondo dell´arte tra maestri di classicismo, di barocco, di naturalismo o di caravaggismo, quali furono sicuramente i Gentileschi e il Caracciolo, da lui peraltro reinterpretati in alcuni quadri. Possiamo peraltro supporre che le stupende opere del Tiziano qualila Venere di Urbino e Bacco e Arianna o le opere del Lotto o del Tintoretto, forse ultimo vero pittore ed interprete veneziano del rinascimento italiano non abbiano influenzato più di tanto la sua formazione. Senza voler giungere ad affermazioni affrettate ci immergiamo nella mostra validamente allestita sia per la copiosità quasi inaudita per numero dei lavori del Saraceni, sia per la buona riuscita dell´allestimento delle luci, cosa per altro non facile in quanto l´illuminazione doveva soddisfare e ha soddisfatto il percorso "descrittivo della vita artistica del pittore". Nella prima sala, doverosa è la rappresentazione fatta dal Saraceni della Madonna di Loreto. È una madonna ricca in quanto il manto è tutto ricoperto da un´infinità di gioie. È un´icona in linea con la tradizione religiosa della Madonna dal volto nero, come in tante altre rappresentazioni. Cattura l´attenzione per la bellezza e perfezione del volto unita ad intensa luminosità. A proposito del Caravaggismo del Saraceni, nulla ha in comune con la Madonna di Loreto o del Pellegrino, dipinta dal Merisi, nel quale la Madonna è raffigurata quale sciatta popolana con in braccio un bambino, come vedremo in seguito. Di notevole interesse per comprendere la natura della pittura del Saraceni è il Transito della Vergine di cui si conoscono due composizioni. La composizione che troviamo a Palazzo Venezia è la seconda raffigurazione (vedi dipinto n. 3) nella quale Maria piena di luce pregante e con gli occhi aperti, è circondata da fedeli che esprimono ora contemplazione, ora riflessione ma mai disperazione. Non vi poteva essere peraltro disperazione perché si parla di Transito e non di Morte. Sopra la figura della Madonna, troviamo e ciò ben si coniuga con "il Transito" una serie di angeli festanti. Nella presentazione del Saraceni da parte degli espositori, viene ricordato che sul Transito della Vergine, esiste un´altra copia dipinta anteriormente, in cui gli occhi di Maria erano chiusi in assenza di Angeli festanti. Quindi un dipinto che più si avvicinava alla "morte" di Maria che al suo "transito". (Vedi dipinto n. 2). Il quadro è ben diverso dalla Morte della Vergine dipinta dal Caravaggio, nella quale Maria era raffigurata in modo non rispettoso della iconoclastia classica. La Madonna anche in questo secondo caso è una popolana sdraiata, la quale comunica un ovvio ma tenue messaggio di morte, circondata da fedeli in pieno stato di commozione e disperazione. Dipinto stupendo nella sua nettezza di espressività in un contesto di appropriato cromatismo. Anche in questo caso l´accostamento come fatto da alcuni della pittura del Saraceni al Caravaggio, non convince affatto. O perlomeno è convincente la tesi che la committenza di chiara ispirazione apostolica, abbia chiesto al Saraceni di raffigurare il trapasso di Maria restando fedele all´iconoclastia classica. In buona sostanza ciò che era permesso o accettato dal Caravaggio non lo era al Saraceni, probabilmente costretto a far seguire ad una prima rappresentazione, una seconda rappresentazione più accettabile e meno traumatica per il credo o la storia del cattolicesimo. Nella guida al "Saraceni, un Veneziano tra Roma e l´Europa" a pag. 12 circa, il Caravaggismo supposto presente nel Saraceni, viene così espresso "Saraceni in realtà è aderente ma anche indipendente, prende spunto senza dubbio dal Merisi, soprattutto per alcune figure, ma ripensando tutta la pittura merisiana in maniera assolutamente personale, soprattutto in una luce diversa, accompagnata da una tecnica sottile e luminosa, sviluppando una sua personale riflessione etc…". Considerazione che mia sia permesso condividere solo in minima parte per le considerazioni vuoi fin qui svolte vuoi che svolgerò alla fine. Veniamo al riposo nella fuga in Egitto, (vedi dipinto n.4) nel qualesono evidentemente rappresentate le figure di Maria, del Bambino e di Giuseppe. Il tutto con contorno di Angeli. Scena, proposta in veste del tutto rassicurante, pur rappresentando un probabile "passaggio quantomeno, con qualche insidia". I volti esprimono fiducia e rassicurazione in un ambiente quasi bucolico, il tutto rappresentato con armonia di colori, corretta luminosità, e morbidezza "di mano". Mi viene da pensare al passaggio in Egitto del Botticelli, anche se in questo dipinto la figura del bambino e della madre nell´atto di allattare, esprimono volti di ben altra bellezza in un contesto semplice e vagamente bucolico. Ben diverso è il quadro del Caravaggio dove si ammira quale figura centrale un angelo in perfetta e studiata postura, con Madonna e Bambino dormienti per le ovvie fatiche del viaggio. Nel Saraceni il paesaggio circostante, come peraltro l´intera raffigurazione è un´esplosione del colore, colore che meglio dei personaggi raffigurati, rappresenta forse la speranza in un viaggio liberatorio. Dove la pittura del Saraceni in parte si avvicina a quella Caravaggesca la ritrovo in particolare nel dipinto "Madonna con il Bambino e Sant´Anna" (vedi foto n. 5) e nel "Martirio di Sant´Eugenio (vedi foto n.6). Nel primo dipinto la Madonna per come è posizionata e per le sue fattezze, è una normale popolana che tiene in braccio il Bambino in modo del tutto naturale, privo di ogni ascetismo. Come spoglia da ogni iconoclastica è la figura di S. Anna che è madre di Maria sposata a Giacchino che da un lato si interessa al Bambino che gioca con il suo semplicissimo e povero vestiario, dall´altro e qui rientra l´iconoclastica ha in mano una colomba di cui è noto il simbolismo cristiano. L´altro dipinto rappresenta Sant´Eugenio, a cui era stato affidato l´episcopato di Toledo, nel momento in cui sta per essere decapitato. Da notare che il Saraceni non si spinge oltre, cioè non mostra la dinamica della decapitazione, cosa per altro cara ad altriCaravaggeschi,seppur in contesti diversi.
Lo sfondo è carico di un paesaggio dalle tinte fosche che ben si conciliano con l´ambientazione dell´atto che condurrà alla decapitazione, ed alla perdita del potere episcopale come rappresentato in fondo al dipinto.
Sicuramente di ottimo livello l´opera presente nella seconda sala, e cioè di Andromeda liberata da Perseo che la mitologia greca colloca quale figlio di Zeus e di Danae, quindi personaggio mitologico di grande lignaggio. In verità il titolo del quadro non è del tutto appropriato in quanto Andromeda è ancora legata e sta aspettando l´arrivo di Perseo. La mitologia poi ci dirà che fu liberata e fatta sposa. In effetti Andromeda guarda all´arrivo di Promoteo con una certa riottosità ben manifestata dal Saraceni è tutto sommato congruente con il racconto mitologico. Il corpo di Andromeda molto fluente e carico di luce è posturalmente e anatomicamente di rara bellezza. (Vedi dipinto n.7). Altra esplosione di corpi anatomicamente corretti e altrettanto convincenti nell´atto preliminare all´unione dei due corpi, la troviamo in Venere e Marte, dipinto con il quale il Saraceni rammenta in parte la sua origine veneziana. (Vedi dipinto n. 8). Vi sono riprodotte in un tripudio di colore uno sfondo grigio nero nel quale appare un´architettura antica ricca di statue, stucchi e simboli. Quasi dissacranti al prologo dell´atto di amore, una serie di angioletti intenti alle più varie attività, alcuni anche interessati all´atto carico di erotismo in quell´intrecciarsi di gambe.
Più schietta nel porsi e nel darsi Venere. Di stile veneziano, anzi direi marcatamente veneziano per l´esplosione del colore, il numero dei personaggi coinvolti, l´accuratezza dei vestiti, l´attenzione agli sfondi di vivace bellezza, è il "Ritrovamento di Mosè". (Vedi dipinto n. 9). Ma la pittura del Saraceni sembra sempre oscillare tra la tradizione dei pittori veneti, in cui li Lotto penso abbia esercitato su di esso una forte presa, o altri veneziani quali il Giorgione, il Tiziano e il Tintoretto, e dall´altro il Caravaggismo e suoi proseliti quali ad esempio i Gentileschi e l´Elsheimer. Nei dipinti Giuditta e la Fantesca (vedi dipinto n. 10) o Giuditta con la Testa di Oloferneo l´Ebrezza di Noè, (vedi dipinto n. 15), ritroviamo certamente nei soggetti e nel messaggio dei dipinti i tratti o le espressioni del Caravaggio, ma l´azione dei soggetti stessi è molto più timida, quasi frenata da una ortodossia classicista anche perché in Europa stava per esplodere una Guerra anche di religioni, così detta dei trentanni in cui un forte ruolo giocò la chiesa cattolica contro i protestanti, vedasi in Italia il massacro dei "Deviazionisti in Valtellina" dove gli stessi furono trucidati e quindi la necessità tutta politica di un ritorno alvetero classicismo. A riprova di quanto sopra il meraviglioso dipinto della Maddalena Penitente, (vedi dipinto n. 11)rappresentata quale stupenda creatura di rara bellezza e compostezza, intenta probabilmente a redimersi attraverso la lettura di un brano evangelico, in un contesto paesaggistico nel quale ben si conciliano il gioco delle luci e delle ombre, gioco con causale. Lo sguardo ripeto è di un candore assoluto ma anche di attenta ricerca nella remissione dei peccati, tant´è che la mano è appoggiata su una croce ed il libro su un teschio, teschio che però non vuole o non riesce ad essere un momento di raccapriccio. Quindi direi più ritorno all´ortodossia che alle fughe in avanti del Merisi. Mi sono soffermato alle pale in cui è raffigurata la figura di San Carlo Borromeo, come già ricordato nella prima parte dello scritto.
Una di queste pale è precisamente la pala nella quale San Carlo Borromeo predica durante l´ostensione del Chiodo Sacro, proviene dalla Basilica di San Lorenzo in Lucina sita nell´omonima piazza in Roma, rione Colonna, Basilica che la mia famiglia ha eletto quale luogo di culto e di mediazione.
Basilica ricca di pregevoli opere quali quella di Guido Reni nell´altare maggiore o di altre opere attribuite al Sarti ed al Turchi. Nella chiesa tra l´altro ha trovato sepoltura Nicolas Poussin la cui tomba reca la scritta "et in Arcadia ego", pittore francese classicista barocco di fine 1500, la cui pittura si lega al famoso dipinto LesBergeres ‘Arcadie ed altri pregevoli dipinti di stretta ortodossia cattolica. A mio parere molto più ricco di fascino l´altra pala che raffigura San Carlo Borromeo intento a comunicare o dare l´estrema unzione ad un appestato. Lo sfondo di colore scuro, contrastante con la vivacità del colore delle vesti di chi stava accanto al malato, fa pensare che l´atto di San Carlo Borromeo avvenga in un lazzaretto (Vedi dipinto n. 12). Voglio ricordare da ultimo, ma non perché vi siano altri quadri o pale degne di menzione, il San Francesco che riceve le stigmate (vedi dipinto n. 13)dipinto nel quale alla centralità della figura di San Francesco in un saio del tutto dismesso, vi sono elementi di grande ortodossia, quali l´insolita figura di Clemente VIII, un angelo che certifica l´iconoclastia del momento, un paesaggio al contempo scuro e squarciato da una luce fortissima con all´estremità interessanti architetture. È un dipinto dove si incrociano classicismo con cromature le quali richiamano i colori cari al Caravaggio. Non sono in grado di affermare se il Saraceni come viene detto nella mostra, fosse un seguace del Merisi o di pittori veneti del tempo o addirittura degli emiliani quale il Carracci o il Reni. Ritengo che non fosse ne l´uno né l´altro, propendendo quale prologo a questo scritto, che la "querelle" sia sinceramente di scarso interesse, e minimalista nel voler guardare serenamente al Saraceni per quello che era. Non possiamo, come ricorda l´Argan cercare quello "che noi vorremmo che fosse".
Sicuramente era un pittore sensibile alle migliori composizioni dei suoi coetanei, dotato di ottima tecnica, tecnica essenzialmente classicista e barocca, al servizio della ricca committenza che lo chiamava e ricercava in Italia e anche all´estero, pur essendo pittore che qualcosa concedeva al grande suo grande coetaneo il Merisi, ma non poteva essere altrimenti. Quanto si allontanasse dai desideri dei propri committenti direi che il Saraceni dia la sensazione di essere un professionista di grandi capacità ma anche molto timido nell´intraprendere strade diverse da un classicismo seppur come precisato, temperato con somma prudenza dalla volontà di stupire, tutta caravaggesca, ma senza strappi, e "fughe in avanti".In fin dei conti pare che fosse tra i pittori meglio pagati al tempo in cui operava anche considerando che la sua vita di uomo e di artista fu veramente breve. E ciò può bastare a rendergli merito, prendendo atto della considerazione di cui godeva tra i suoi committenti.
Da ultimo riferendomi al mio articolo pubblicato su Belle Arti srls. E proprietaria del Foglio dell´Arte in tema di valorizzazione della cultura etc… a commento della recente legge 91/2013, avevo dato enfasi al fatto che un articolo delle legge de quo, prevedeva in tema di "digitalizzazione", l´assunzione di giovani.
Il Governo ha dato seguito al programma prevedendo che i giovani siano impiegati per un compenso lordo di € 400 mensili, dicasi € quattrocento mensili. Il Duo Letta, Bray si è ulteriormente coperto di ridicolo e vergogna.