Per conto del Foglio dell´Arte di proprietà di Belle Arti srls, mi sono recato in Roma a Palazzo Barberini a visitare la mostra dedicata ad Antonio Aquili conosciuto come Antoniazzo Romano, attivo nella seconda metà del quattrocento.
La sua bottega era nel centro di Roma e lui stesso era romano. La copiosa committenza di dipinti devozionali e l´assenza in Roma di artisti ivi nativi, fanno di lui un pittore attento ma non evoluzionista. Tra l´altro non risulta che abbia operato fuori dal Lazio o che abbia avuto rapporti con i grandi pittori della seconda metà del quattrocento, né che si sia confrontato con pittori di scuola stranieri quali i fiamminghi o i francesi o gli spagnoli, che nel frattempo si immergevano nell´avventura rinascimentale.
La mostra lo presenta un po´ sontuosamente come il primo attore di una "scuola romana" dell´arte. Penso che questa definizione lo avrebbe immensamente imbarazzato, sia perché nel 400 non è mai esistita una "scuola romana", sia perché l´opera dell´Antoniazzo tutta volta al "devozionale", nulla ha a che vedere con le vere scuole che fioriranno in Italia in quel periodo, quale quella umbro-marchigiana, quella tosco-senese, quella veneta e tante altre degne di menzione.
Sinceramente i rappresentanti di queste scuole ben poco hanno a che spartire con un onesto pittore di figure religiose essenzialmente asettiche o legate a qualche simbolismo, tanto caro ai committenti locali o giù di li. Quindi l´Antoniazzo non si pone né come precursore, né come continuatore di una "scuola romana" che non è mai esistita. I grandi mentori dell´arte che operavano a Roma, ma non nati a Roma, né di scuola romana, come noto, portavano cultura ed esperienze di altri luoghi perché Roma era incapace di scrollarsi di dosso il falso pudore del devozionale ad ogni costo, perlomeno dentro le mura di cinta. La fantasia, il colpo di reni, di insubordinazione e altro era ammirato, ma al contempo era meglio accaparrarselo da geniacci che venivano da fuori.
Ho voluto svolgere questa premessa, perché nella mostra, peraltro ottimamente curata ed attrezzata, mi è parso che si volesse trarre dall´Antoniazzo, quello che l´Antoniazzo non voleva o poteva offrire. Ma immergiamoci nella mostra e soprattutto nelle molte, forse troppe, Madonne con il bambino trattate quale atto devozionale in quanto ripeto la committenza proveniva certamente o da prelati o da laici in contatto con la chiesa, o da questa dipendenti. Il primo incontro è con un bel trittico raffigurante al centro la Madonna con il bambino e ai lati San Francesco D´Assisi e Sant´Antonio da Padova. (foto n. 1) Sono rimasto profondamente impressionato ed in positivo della genialità con la quale Antoniazzo, ha dato stupenda luce alla Madonna sul trono con il ben indovinato uso del colore bianco-crema con la mantella nera della Madonna. Ma sono altri due particolari che hanno attratto la mia attenzione e precisamente la circostanza rara per rappresentazioni devozionali, del bambino che invece di usare le due dita per indicare il cielo, usa un braccio per meglio aggrapparsi a Maria, oltre la circostanza data dalla peluria che è presente nel volto di Sant´Antonio.
Sono due particolari di "vita" che in effetti non troviamo spesso nel tardo gotico e tanto meno nel puro gotico devozionale. E veniamo alla Madonna con il latte. Foto n. 2) Elemento che considererei degno di nota in quanto innovativo è il marmo decorativo su cui poggiano la Madonna e il Bambino. Elemento classicheggiante che difficilmente troviamo nell´autore. Se vogliamo è un passo avanti rispetto alla Madonna del Latte del Lorenzetti che in tema è un classico, ma parliamo di un secolo prima. A parte l´attenta decorazione, notiamo infatti dei personaggi, ivi compreso sullo sfondo il probabile committente, dalle espressioni essenzialmente asettiche che solo timidamente e quasi con la paura di aver troppo osato, fanno intravedere che l´Antoniazzo abbia tentato un timidissimo approccio al movimento.
Nulla evidentemente a che vedere con la "Virgo Lactans" di Jean Fouquet nel quale la scena è vivente e reale, come è reale la passione che unisce madre e figlio. Il Fouquet sa far trasparire dai propri protagonisti espressioni di sentimento, non visi volti al nulla. Niente a che vedere anche con altre Madonne del Latte, quali la Madonna del Correggio, con un bambino che si allontana dal seno materno per giocare con altro bambino. Figure vive che fanno vivere. Proseguendo, e per sfuggire alle tante Madonne con il bambino, ci imbattiamo in un San Francesco (figura n. 3) che con i piedi sulla roccia ed in atteggiamento proiettato all´estasi, sta per ricevere le stimmati da un Gesù serafino, la cui collocazione è sicuramente particolare. Rispetto al San Francesco prima ammirato nel trittico con la Madonna al centro, notiamo che il santo ha lasciato la folta barba per mantenere solo un po´ di peli e di baffi. Trovo di ottima fattura il successivo dipinto delle Natività (figura n. 4) in cui è presente la colomba della spirito santo, un bambinello adagiato su un fascio di spighe ed una Madonna dal ricco mantello in atteggiamento di piena compostezza e devozione. Ritengo peraltro non del tutto riuscita la figura di San Francesco, indovinata nei colori delle vesti, ma non nel viso ombroso e nelle mani da attribuire più ad un malato di artrosi che ad un santo adorante. Spostandoci oltre, troviamo un dipinto sempre tempera su tavola nel quale al centro c´è la classica figura di San Sebastiano,con ai lati fra Onorato e Pietro Caetani d´Aragona, quali probabili committenti, mentre sullo sfondo l´Antoniazzo raffigura un´interessante scorcio di natura dove convivono assieme montagnole di possibile tufo e qua e là qualche macchia di verde ed infine una montagna ed un lago (figura 5). La figura di Onorato II sembrerebbe aspettare qualche lume dal San Sebastiano, tanto è l´inespressività del proprio volto, mentre il Caetani D´Aragona, di sguardo più che vivace parrebbe o suggellare un suo successo o intento ad aspettare che il San Sebastiano lo legittimi in un suo probabile nuovo ruolo o impegno. Poco convincente è la figura del San Sebastiano. Basti osservare i piedi per chiedersi se anche questo modello fosse stato preso da un garzone affetto da artrosi. La postura su lato destro è l´unica cosa che l´avvicina al geniaccio di Antonello da Messina il cui Sebastiano è esaltazione di una luminosità diinnaturale naturalezza vezzeggiata da una colorazione la quale aggiunge altra luce. Veniamo alla pittura "Madonna con il bambino e i Santi Stefano e Lucia" (figura n. 6). Si tratta di una pala e non di un trittico, come generalmente eravamo abituati a vedere. Il pittore raffigura le quattroentità con abbigliamenti direi quasi ricercato e con uno sfondo che darebbe l´idea di un damascato. Anche i volti e le posture dei personaggi, bambino compreso, esprimono una qualche vivacità abbastanza inconsueta nell´Antoniazzo. La pala mi pare di ottima fattura. Rilevo ma forse per mia pura miopia, che il volto di Santo Stefano non è quello di un uomo ma di una più che probabile donna. Di particolare interesse ho trovato il trittico del Redentore benedicente (figura n. 7) tra i Santi Pietro e Paolo. Lo ritengo un ritorno al passato sicuramente nella forma e sostanza voluto dal committente del trittico in quanto è chiaro il modello iconografico bizantineggiante. Tutte le opere sin qui viste sono a tempera su tavola o puri affreschi, mentre nella Madonna delle Grazie (foto n.8) con il bambino sulla gamba , tenuto con il braccio destro, l´Antoniazzo ha usatola tempera su tela, cosa che per il pittore era forse un nuovo modo per poter meglio evidenziare luci e colori. In questo dipinto sicuramente pregevole, a fronte di uno sfondo di colore scuro, di un mantello della Vergine, anch´esso scuro,la quale rivolge lo sguardo al bambino mentre è seduta su un trono absidato, troviamo quale forte contrasto uno stupendo colore rosa del trono, colore che però non riesce a dare quello stacco di luminosità che il dipinto meriterebbe. Il "luminismo" non era indubbiamente una peculiarità del pittore. Ma tralasciamo le altre Madonne con il bambino, in quanto l´Antoniazzo non porta, a mio parere, con dette raffigurazioni, nessun elemento di interesse, ma solo possibile icofrania che non fapresagire l´abbandono del tardo gotico, anzi direi che le sue Madonne interpretano la figura della Madonna e del bambino essenzialmente quale omaggio all´iconoclastia, e non quali scene centrali di vita, così come raffigurate dai fiamminghi, ma anche da tanti insigni pittori veneto-marchegiani quali tra tutti il Filippino Lippi.
Veniamo quindi al San Girolamo in adorazione.Il dipinto tempera su tavola raffigura San Girolamo (foto n. 9) inginocchiato adorante il Cristo in un manieristico contesto dove c´è un po´ di tutto in una buona prospettiva, e precisamente un leone accovacciato, della sterpaglia, alcune rocce ed in fondo oltre ad un villaggio che emerge da un lago, anche due picchi di montagne. Non conosco la datazione del quadro ma immagino che con questo dipinto l´Antoniazzo abbia definitivamente lasciato il tardo gotico o addirittura alcune venature bizantine, per essere approdato ad altre scuole che già datempo in Italia e all´estero volgevano al Rinascimento. Alla fine di questo vagabondare per la mostra e le sue circa cinquanta opere esposte, alcune delle quali commentate, mi sono convinto che Antoniazzo Romano sicuramente non esprimeva una scuola romana, in quanto non vi era scuola romana nel senso con cui si parla di scuola veneta, umbro-marchigiana etc…. Mi sono altresì convinto che era un ottimo pittore attentissimo alle esigenze che palesavano i suoi committenti. Quale fosse la sua intima convinzione sulla corretta rappresentazione dell´iconoclastianell´arte tra tardo gotico o rinascimento, è mia convinzione che i suoi dipinti non aiutino a capire quale fosse il suo intimo intendimento, qualora intendiamoci ce ne fosse, e non si sposi la tesi che sia stato un puro pittore "da committenza" .Penso che sarà soprattutto ricordato perle ripetute raffigurazioni di Madonne con il bambino tra le quali, a mio parere, l´unica a meritare una vera citazione a parte, è la Madonna con bambino c.d. Madonna di Santa Maria in Campo (foto n. 10) con sfondo dorato in cui il bambino al di là delle solite ditine rivolte al divino è un vero bambino con un vero abito e con una Mamma avvolta in uno splendido e colorito mantello che copre una vestaglia rossa. Madonna espressiva nel volto come espressivo è il volto del bambino con gambe e piedi grassottelli, un verace popolano. Insomma finalmente una figura umana, resa ancora più tale dalla cura con cui la Madonna lo protegge ai piedi di un davanzale.