J. Beuys, La rivoluzione siamo noi, 1971 |
|
|
L´artista tedesco Joseph Beuys (1921-1986) fu uno dei rappresentanti più emblematici della seconda metà del Novecento. La sua ricerca si snodò attraverso percorsi inusuali, fondendo, in maniera indissolubile, la propria vicenda esistenziale con l´essere artista. Il caso di Beuys è l´espressione lampante di una sovrapposizione radicale tra arte e vita.
Artista eterogeneo, fu capace di alternarsi tra performance, azioni politiche, sculture e disegni. L´estate del 1964 rappresentò un momento importante della sua carriera: per la prima volta il pubblico si trovò di fronte alla sua opera. Si trattò di una piccola selezione di disegni e sculture prodotti tra il 1951 e il 1956 a Kassel (Germania), per la terza edizione di Documenta.
Nello stesso anno, avvenne anche la pubblicazione, da parte di Beuys, della propria autobiografia fittizia intitolata "Curriculum vitae/Curriculum opere", in cui offrì un enigmatico racconto del proprio sviluppo artistico. Sostenne che l´uso del grasso e del feltro, i materiali che più ricorsero nelle sue sculture, trasse origine dall´incontro con i tartari in Unione Sovietica, che gli salvarono la vita avvolgendolo nel grasso e nel feltro quando il suo aereo della Luftwaffe fu abbattuto durante la Seconda guerra mondiale.
Da questa esperienza, infatti, Beuys trasse i motivi d´ispirazione che lo accompagnarono in tutta la sua attività, condotta lungo un filo mistico di rinascita spirituale, quasi sciamanica. Beuys decise di elevare i mezzi con cui era stato guarito dal principio di congelamento a elementi simbolici universali del curare, non solo la persona, ma anche l´umanità e la natura. Il feltro della coperta e il grasso con cui era stato protetto comparirono, infatti, in decine di sue azioni. A questi elementi si aggiunsero, di volta in volta, animali, oggetti, materiali preziosi e il corpo stesso.
Finita la guerra, Beuys studiò arte all´Accademia di Düsseldorf, dove, agli inizi degli anni Sessanta, divenne professore, per essere poi licenziato nel 1972, dopo aver organizzato uno sciopero. Intanto, dal 1964, l´artista comparve sempre più assiduamente alle manifestazioni del movimento internazionale Fluxus, con cui la collaborazione era già iniziata un paio di anni prima tramite l´incontro con il teorico e coordinatore del gruppo, George Maciunas. Gli artisti riuniti in Fluxus erano accomunati dalla volontà di indagare il senso dell´arte in relazione alla sua fruizione sociale. Da qui il celebre motto di Beuys: "Ogni uomo è un artista", teso a riaffermare il concetto di arte totale, dall´esperienza meramente estetica al vissuto quotidiano.
Beuys, tuttavia, non venne mai accettato del tutto in Fluxus, poiché la sua opera appariva agli occhi dei suoi componenti un contributo troppo specificatamente tedesco, in un movimento che aveva posto l´accento su una concezione della cultura programmaticamente internazionale. In questo senso, Beuys sviluppò un´estetica della memoria, legata al recente passato della Germania.
L´opera di Beuys si compose soprattutto di azioni e di happening. Le sue azioni più famose ebbero una preparazione quasi teatrale, come ad esempio "I Like America and America Likes Me" (1974), realizzata nella Galleria René Block di New York, dove Beuys visse per cinque giorni con un coyote, cercando di comunicare con esso, assumendolo come simbolo sia dell´America selvaggia che del sogno capitalista di quest´ultima.
Negli Stati Uniti Beuys ebbe modo di incontrare Andy Warhol: il confronto tra i due artisti è una chiave importante per comprendere le differenze che in questo periodo intercorsero tra l´arte americana e quella europea. Mentre la Pop Art statunitense possedeva un approccio celebrativo e ottimistico al sistema di vita contemporaneo, le coeve ricerche europee, di cui Beuys assurse a simbolo, furono caratterizzate da un rapporto più problematico con la crisi di coscienza dell´intellettuale europeo, originatasi da una scomoda tradizione composta di luci e ombre.
Il rapporto arte-vita di Beuys sovvertì la concezione tradizionale dell´arte, in maniera così radicale da assumere un valore antropologico, responsabilizzando l´uomo nei confronti della società e sollecitandolo ad agire creativamente. Responsabilità, autodeterminazione, partecipazione, uguaglianza e democrazia furono i capisaldi della ricerca di Beuys, racchiusi nel motto "La rivoluzione siamo noi", pubblicato sul manifesto della sua prima mostra in Italia (1971). Lo slogan è rappresentativo della poetica politica di Beuys, esprimendo il concetto che in ogni gesto comune è insito un atto magico e un fatto d´arte, tanto quanto la vita stessa.
Altro interessante aspetto da considerare è la modalità con cui Beuys intese le performance: una ricaduta nel mito, un ritorno al rituale, quasi una forma cultuale di cura psichica e di esorcismo. Le sue performance cercarono di riconnettere stati d´animo inconsci di esperienze passate con rappresentazioni drammatiche o grottesche nel presente. Questi interventi ebbero carattere simbolico e generarono una relazione gerarchica tra performer e spettatore. Da qui derivò il culto di Beuys come "artista-sciamano", intendendo le sue performance come terapeutiche ed esorcistiche.
La condizione "ampliata", che distinse la ricerca artistica di Beuys, interessò la dilatazione della sensibilità e della coscienza: fu di carattere sostanzialmente progettuale, in vista di un disegno di autodeterminazione individuale e rivoluzione collettiva. Da qui, derivò anche l´ampliamento della pratica artistica all´attività pubblica e all´azione politica, in direzione di un progetto di trasformazione sociale e culturale.