La mostra è stata più che egregiamente allestita nei locali dell´Académie de France nella stupenda Villa Medici, al Pincio, pertanto in un luogo nel quale si può ammirare gran parte delle bellezze della Capitale. (Figura 1)
L´Académie de France è stata da sempre luogo di accoglienza e confronto tra artisti e storici dell´arte. Nell´occasione un grazie ai curatori della mostra Annick Lemoine e Francesca Cappelletti.
Mostra attenta nel suo percorso guidato alla descrizione storica del periodo nel quale operavano i cosiddetti "Bamboccianti".
Siamo nel ‘600 e la mostra attraverso i suoi dipinti ci ricorda, ma questo probabilmente non era il solo scopo della stessa, che la città di Roma non era solo quella che sembrerebbe apparire da altra pregevole mostra. Mi riferisco ai Papi della Speranza ospitata in Castel Sant´Angelo e di cui il sito www.ilfogliodellarte.it, ha già dissertato nel suo foglio on-line del 5 giugno 2014. Nella sezione Articoli.
Ma chi erano questi "Bamboccianti" e perché furono aggettivati tali?
"Bamboccianti" è una definizione canzonatoria con la quale furono catalogati ma non omologati, in quanto non omologabili, una serie di pittori soprattutto di origine olandese e belga soggiornanti a Roma agli inizi del ‘600. In totale controtendenza all´imperante Classicismo Barocco presente a Roma all´epoca, si proposero quali artisti "di strada" di vita quotidiana, quindi vissuta, sicuramente anticonformisti, certamente, in antitesi, anche provocatoria, con altri pittori pieni di committenze da parte della Curia e famiglie nobili e borghesi romane, le quali tanto tenevano ad esporre nel 1600 dipinti del tardo barocco del neo classicismo o delle scuole del paesaggismo e del ritrattismo. Meno ancora con il periodo precedente nel quale ogni dipinto degno di questo nome, nella Roma Papalina, doveva mostrare un forte riferimento "all´Estasi" intesa come fonte e verità di vita con riferimenti ortodossi ed iconoclastici, evidentemente diversamente raffigurati secondo la personalità dell´artista, e comunque in sintonia con la committenza. Ricordiamo che peraltro nel periodo precedente al Seicento in Italia avevamo eminenti personalità nel campo spirituale e del sociale, parliamo di San Filippo Neri, San Carlo Borromeo e Camillo De Lellis, i quali meritavano anche una diversa collocazione storica e tematica nei dipinti dell´epoca che li raffiguravano.
Ad esempio San Filippo Neri è quasi sempre strumentale a qualche messaggio religioso particolarmente ai messaggi in coerenza con il Concilio di Trento e la controriforma.
Personaggi che avrebbero meritato di apparire soprattutto per la loro entusiastica militanza a favore dei bambini sottratti agli orrori della strada, ai mendicanti, ai diversi, quest´ultimi intesi in senso del tutto obbrobrioso e borghese.
L´esperienza dell´oratorio, anche quale occasione per dialogare, fare comunità e quant´altro, trovarono scarso spazio nei dipinti dell´epoca.
Di converso nei paesi del Nord Europa la controriforma del Concilio di Trento evidentemente da molti non propriamente condivisa, trovò mirabili pittori che dedicarono la loro arte a dipinti non convenzionali, legati a scene di vita comune, con personaggi veri e non omologati. Si contrapponeva quindi il vivere terreno per quello che era, e non solo quale strumento per dare una qualificazione al "terreno", con quanto potesse essere funzionale al disegno divino.
In questo contesto nel ‘600 da noi si impose la figura atipica del Caravaggio il cui pennello era di tale fattura da non poter incuriosire anche i più ortodossi tra il clero. Peccato che la mostra manchi, o perlomeno io non me ne sono accorto del Bacchino Malato, peraltro visibile presso la Galleria Borghese (Figura 2). Mi riferisco a questo dipinto in quanto parte della mostra, e dei suoi artisti è un inneggiare a Bacco. La mostra ci rappresenta sul punto un dipinto di Bartolomeo Manfredi olio su tela cosiddetto "Bacco e un bevitore" (Figura 3). Protagonista non è tanto il Bacco con il corpo in rotazione e con in mano un grappolo d´uva alzato sul bicchiere di un probabile gentiluomo, gentiluomo sia per il vestito damascato che indossa, sia perché sa attendere quasi con devozione che Bacco sprema l´uva sul bicchiere maledettamente quasi vuoto.
Un rituale, o uno spezzone di vita d´osteria.
Fin troppo scontato supporre che il Manfredi si sia ispirato al Caravaggio. Ma andando oltre alla (Figura 4) "Bacco giovane" troviamo un Bacco disteso che tira verso di se un ricco ramoscello di uva. Il corpo giovanile è al contempo frutto di ambiguità e loquente sensibilità, probabilmente androgino in un contesto di natura morta. Lo stesso viene attribuito a tale Salini attivo a Roma.
Ma torniamo un attimo a questi artisti che ci stupiranno per il loro rifiuto del conformismo e per privilegiare figure vere, prese in minima parte da stili di vita ortodossamente devozionali, in altri casi, i più frequenti, da dissolutezza, voluttà, barbonaggio, miseria materiale e umana.
Questi artisti vuoi bamboccianti, o post caravaggeschi come già detto, venivano prevalentemente dall´Olanda o altri paesi fiamminghi dove più che il devozionale faceva "cassa" il dipingere scene di vita comune con personaggi a volte raffigurati in pose dissacratorie.
Fortuna per loro, esisteva anche una committenza domestica. Tra di loro formarono quella che oggi chiameremo una associazione che prediligeva raffigurare l´umile, lo stravagante, lo sguaiato, in un´orgia di vino, di cortigiane, di bari. In una parola di emarginati, dimenticati da chi lavorava alle corti dei Papi dei nobili o notabili i quali preferivano "un´ordine costituito", a un disordine di vita, foriero anche di sommosse e quant´altro. Questa associazione detta dei Bentvueghels i cosiddetti uccelli dello stormo (Figura 5), si incontravano nelle loro sedi naturali quali osterie, bordelli strade dimenticate proprio sotto Villa Medici, nelle maleodoranti viuzze tra via Margutta, via del Babuino o via Flaminia appena al di fuori della porta di Piazza del Popolo.
Il rito "dell´iniziazione nella Schildersbent", la ritroviamo nel dipinto ad olio su tela di anonimo nederlandese (Figura 6).
Lo Schildersbent era un´associazione di pittori fiamminghi raffigurati nel dipinto un dominus con donna ed angelo in posizione dominate in ambiente classicista, con tanti adepti vestiti con colorazioni diverse di un certo pregio. Non mancano il vino e la probabile figura di un depravato. Dipinto, diversamente dagli altri non particolarmente inquietante.
La mostra continua fornendoci altre pregevoli raffigurazioni di personaggi dediti principalmente al vizio del gioco generalmente accoppiato ad altri vizi, tra tutti il bere smodato.
Il dipinto che più colpisce è peraltro, opera olio su tela di un artista italiano Pietro Paolini da Lucca (Figura 7). Viene denominato "I bari".
La scena si svolge in una probabile osteria di livello superiore. Lo testimonia la raffinata tovaglia sul tavolo da gioco. Tra l´altro la vittima è un signorotto ben vestito ma insicuro, che impugna le carte con una certa inquietudine. Con un occhio fissa le carte, con l´altro cerca conforto in una cortigiana, ben vestita, ma tutt´altro che indifferente alla scena. Interessata probabilmente tanto ad intrattenere il giovanotto dopo la partita, quanto interessata ad aiutare unitamente ad un musicante il vero baro che si trova di fronte allo sprovveduto.
Baro dal volto becero, pronto ad estrarre dalla giacca una carta non consentita.
Lo stesso fissa negli occhi vitrei il giovanotto. Dietro al baro non poteva non comparire un oste che logicamente porta del vino, più probabilmente allo sprovveduto che al baro, in quanto troppo intento a liquidare l´improvvido avversario.
Altro dipinto sul tema (Figura 8) la"Taverna con giocatori di dadi e un´indovina". Protagonista principale del quadro del Nicolas Régnier è una voluttuosa cortigiana dalla generosa scollatura.
Sta nel mezzo tra una donna dai tratti olivastri e i giocatori di dadi. Mentre si fa leggere la mano le viene sfilata la borsetta. Tutt´intorno loschi o losche figure, le quali in qualche modo probabilmente sono parti attive ad un´altra ruberia che si sta svolgendo nella parte destra del quadro, ruberia più immaginata che visibile.
Altro dipinto di grande momento di Nicolas Régnier è "Lo scherzo" (Figura 9). Uno scherzo per modo di dire, in quanto la cortigiana appoggiata sul tavolo da gioco con un sorriso furbesco chiede a chi le sta di fronte, di fare silenzio. Silenzio in questo caso portatore di probabile fortuna alla cortigiana, perché lo sprovveduto giocatore dal volto giovanile e dal vestito di buona fattura si è addormentato sull´amorevole ma velenosa mano della donna. Bello l´incontro tra la mano della cortigiana e il braccio dello sprovveduto che funge da poggiatesta.
L´autore non ci dice quale sarà l´oggetto dell´imbroglio, potrebbero anche essere più di uno tanto il giovane probabilmente vinto dai fiumi dell´alcol tarderà a riprendersi.
Tra i dipinti di "Divertissements" o di scarno un posto lo merita il "Giovane con fichi" di Simon Vouet (Figura 10). Il giovane ammiccante di nobile lignaggio se non altro per l´importante vestiario, è del tutto irriverente fuori dal suo censo. Con la mano alla sua destra pone il pollice tra l´indice ed il medio.
Con l´altra mano regge due fichi, più che fichi richiamerebbero in coerenza con il primo significato assolutamente definibile, i due ulteriori attributi maschili. Si ritiene che gli attributi siano situati nella mano tesa in alto, forse per conferire agli stessi maggiore dignità. Questo dipinto ebbro-sessuale forse ci voleva ricordare che la fecondità di cui alla prima mano nulla può, se non è accompagnata dagli attributi presenti nella seconda mano.
A parte il viso intrigante del personaggio, il dipinto è assolutamente ludico e spiritoso, sicuramente innocuo per la "pace e tranquillità sociale" tanto cara a Papi e relativa corte.
Immagino piacesse enormemente alle dame di corte, chissà cosa avrebbero fatto per commissionarne uno in gran segreto. Ma forse ci riuscivano, altrimenti è difficile capire da dove arrivassero le committenze, prescindendo dal grande valore del Vouet. Poteva essere un´ottima entrée per il dopo.
Altro dipinto del Vouet sempre olio su tela c.d. "Buona Ventura", (Figura 11) ci presenta un villico tra una vecchia di colore scuro forse incisa dal sole della sua terra e una giovane dai tratti gentili orientaleggiante.
Cosa ci fa il villico tra queste due donne, probabili madre e figlia?.
Il tema più probabile è quello della complicità sessuale verso il giovane in uno con la furbizia della madre in atto di "ravanare" nelle tasche del beota.
Ottima la scelta dei colori e dell´espressività dei personaggi legati al compito o missione poco lecita di ciascuno degli stessi.
Uno stupido villico, sicuramente accettato dall´ortodossia cattolica anche se contorniato da due donne non proprio Madonne.
Ma perché il Vouet ebbe a scegliere due probabili orientali forse per non turbare il costume del o della committente? Tutte ipotesi.
Arriviamo continuando nel più che interessante percorso a veder trattato attraverso due dipinti, nell´articolo solo dove il problema dell´emarginazione (Figura 12) Il Mendicante di Jusepe de Ribera e (Figura 13). Solo sfigati. Non lo so, sicuramente persone vere, essenzialmente innocue forse impotenti a gridare la loro rabbia per il loro status. Roma era piena di questi personaggi quasi istituzionalizzati perché se erano pericolosi forse lo erano solo a se stessi.
Peraltro le confraternite, numerosissime a Roma da un lato si preoccupavano della loro cura, dall´altro la cura materiale era un momento importante per controllare che la diversità indotta o meno non sfociasse in violenza. Era un modo per garantire la rinascita di Roma, con grande sforzo dei Papi del periodo, ai quali andava peraltro rassicurata perlomeno una situazione di pace interna non esistendo una pace internazionale sconvolta da continui conflitti vuoi dinastici e imperialistici vuoi di carattere a fondo sociale. Si viveva anche di un´economia micro contadina.
L´industrializzazione del Nord Europa e particolarmente dell´Inghilterra, doveva ancora attendere perlomeno un secolo, portando con se anche una sana conflittualità sociale e presa di coscienza della lotta di classe.
Attribuibile alla scuola di Jusepe de Ribera anche "Il mendicante con cetra" (Figura 14)
Sono lavori tecnicamente di ottima fattura. Tratterei gli stessi con omogeneità, anche se il primo mendicante volge lo sguardo verso il basso, quasi per significare "questa è la mia condizione e nulla faccio o posso fare per modificarla" e la seconda ci propone un volto stanco con occhi che indugiano alla "immutabilità della condizione".
I dipinti a mio sommesso parere, data per valida la qualità del tecnicismo del Ribera, vanno anche contestualizzati con il periodo storico nel quale furono prodotti.
Nel caso di specie non si tratta di assatanati del bere, a torto o a ragione per dimenticare o alleviare il loro stato sociale negletto, ma di figure che esprimono al di la di ogni dubbio, la loro incapacità per affrancarsi ad una situazione diversa.
A questo punto è lecito chiedersi, ma la Roma dei Papi della Speranza da Gregorio XIII a Clemente IX, cosa chiedevano all´arte. Artisti omologati più o meno bravi nell´uso del pennello, ma comunque in linea con la controriforma e la "riaffermazione del primato di Roma", pur sopportando degli atipici quali il Caravaggio o Artemisia Gentileschi, o il geniale Carlo Saraceni, se non altro per i loro nudi, ma comunque figli del neo classicismo. Molto più omologati e rassicuranti il Carracci o il Baldi.
Qui stiamo parlando di altro, della reale sofferenza di individui di contorno o a volte strumento di scherno da parte della società.
Vedansi in merito le ottime ricostruzioni storiche della Roma Medioevale di Ferdinand Gregorovius o post medioevo cioè oltre metà del 1500 di Giacinto Cigli.
In questi dipinti, intendo I mendicanti, troviamo descritta una realtà vera ed opprimente per le coscienze laiche e religiose del potere dei "Palazzi". Mendicanti non da assistere, ma da mettere all´angolo o sopportare purché strumentali all´opulenza che si viveva in altri ambienti.
Non essere umani, ma giullari, non altro. Per questi negletti dove era la Roma dei Papi della Speranza tutti intenti alla Restaurazione. Mendicanti di assoluto "contorno" perlomeno e fintanto che non riuscivano ad essere classe sociale. Ripeto che le Confraternite servivano più ad espiare i peccati dei propri adepti, che non a soccorrere cristianamente o laicamente i più deboli.
Deboli che non erano perseguitati, a condizione che non ponessero istanze sociali o religiose di segno diverso.
Valga per tutte la invereconda cacciata dagli ebrei prima da Borgo e poi dai Banchi per ghettizzarli in passi successivi, tutti oscenamente ritmati, in quartieri limitrofi, economicamente e culturalmente scarsamente "incidenti" o comunque da tenere ben lontani dagli "impieghi" delle finanze papaline storicamente date alle ammiccanti e amorevoli cure dei fiorentini o degli svizzeri.
La mostra comunque merita ben altro di queste considerazioni anche se continuo a sostenere che è una idiozia oltre che errore metodologico non contestualizzare i dipinti con il luogo di loro produzione e con il contesto storico sociale del momento della loro produzione.
L´ottima Académie de France in materia di ritrattismo ci propone inoltre il "Giovane con fiasco" (Figura 15) a cura di Tournier "Giovane Cantante" (Figura 16) opera di Claude Vignon o la "Suonatrice di Chitarra" (Figura 16) opera di Simon Vouet o la "Zingara con Bambino" (Figura 17) ad opera sempre di Simon Vouet.
Forse questa è la parte meno interessante della mostra che comunque merita qualche riflessione ad esempio il Giovane con il fiasco mi sembra voglia rappresentare un giovane in cui il vino è l´ultimo rifugio in una espressività che mostra uno stato depressivo. Il Giovane Cantante l´ho vissuto quale espressione non di un animo gogliardesco, ma di uno sconsolato e sfigato "femminiello", la suonatrice con la chitarra mi ha attratto per la persuasività del suo probabile eccesso di femminismo sicuramente provocatorio. Ritengo superfluo lo strumento musicale che nulla toglie e nulla aggiunge al contesto, salvo a voler constatare che l´accostamento tra musica e sensualità è vincente. Ritengo peraltro che maggiore attenzione vada posta al dipinto della Zingara con Bambino. Non più bambino con Madonna che si rivolge all´Eterno, magari con uno squarcio di Spirito Santo, ma puro verismo di una mamma orientale con un bambino altrettanto vero. Entrambe le figure in assenza dello Spirito Santo mi sembrano preoccupate del proprio futuro. D´altronde fino ad oggi credo di ricordare che ebrei, zingari e diversi, palestinesi compresi, camminavano o camminano verso un comune percorso di sofferenze.
L´altra parte della mostra ci porta a dipinti il cui tema è "la meditazione sui piaceri vedasi "Il Concerto" di Nicolas Tournier (Figura 18) o su una melanconica suonata dopo una più che probabile sbronza (Figura 19) con dipinto di Valentin de Boulogne, descritto quale "Concerto con Bassorilievo".
Nel primo dipinto di cui alla figura 18, la scena si svolge sopra un sarcofago. È la scena di due coppie in cui le cortigiane guardano fisse piene di voluttà i loro uomini dopo una serata di vino ma non troppo, comunque tale da far presagire che vi sarebbe stato un´ulteriore scenario forse carico di eros.
Nell´altro dipinto figura 19, il vino lascia il posto alla stanchezza ben impersonata dai personaggi. La musica è li per facilitare il sonno, d´altronde dopo la sbronza forse i personaggi nulla avevano di che dirsi, anche perché troppo diversi tra loro. Si focalizzi l´attenzione sulla figura del bambino un po´ spaesato.
La mostra è anche arricchita dall´attenzione al paesaggismo e al naturalismo sempre peraltro disturbati da un elemento di disordine.
Tipica è la veduta di Roma dalla campagna o da uno spazio di verde di Claude Lorraine (Figura 20) nel quale la fa comunque da padrona una scena di prostituzione in una Roma raffigurata pagana e decadente.
La decadenza di Roma e la sua dipendenza, nella vita comune, dalla presenza di bande di zingari o di disperati intorno ad antiche rovine (Figura 21), dipinto a cura di Sèbastian Bordon, fanno copia con il dipinto precedente. Decadenza delle persone, decadenza della Roma imperiale anche qui in contrapposizione con l´attivismo anche in campo edilizio con i Papi della Speranza.
Ma veniamo all´ultima parte dell´interessantissima mostra, pregevolmente curata, nella quale accanto ad altri dipinti, qui non riportati, con rappresentazione di personaggi disperati scordati, negletti dediti anche forse loro malgrado al vizio in quanto tale, emergono scene di violenza forse dettata da un qualche rigurgito di speranza di rifondarsi e quindi consci dell´importanza della ribellione.
Quella ribellione tanto paventata dai "Palazzi del Potere". Mi riferisco sia al dipinto di Jan Both (Figura 22), la "Ribellione" quanto a quello di Jan Miel (Figura 23) il quale ritrae una scena comune di brigantaggio, direi più figlia della povertà che dettata dai fiumi dell´alcool.
Scena assolutamente in linea con tutti i dipinti della mostra e con l´assetto economico e sociale di Roma. Da una parte i Palazzi ricchi ed opulenti dei Papi e loro figli e nipoti, curia e nobiltà comprese, e dall´altra la maggioranza dei romani e dei pellegrini, nel migliore dei casi piccoli artigiani o questuanti, nell´ipotesi più probabile, orme dei disperati, in mancanza di altro dediti al gioco d´azzardo, al baro, al brigantaggio, o alla interessata e profittevole cura delle cortigiane. Il tutto bagnato da fiumi di alcool, quell´alcool che li allontanava dalla triste condizione di essere parte di un mondo e di una economia sommersa e malata, cioè l´economia dei deboli alla quale non seguiva "vera" ribellione.
Peraltro come si evince dal libro "L´ospedale dei pazzi di Roma", dai Papi al 900 a cura della Provincia di Roma, il trattamento della devianza mancava di certa definizione e conseguentemente di appropriata cura da parte dei medici o stregoni dell´epoca. Ancora non era nato il nostro grande maestro Basaglia, peraltro tradito dalle "istituzioni". Il trattamento era del tutto inadeguato e peraltro riservato ai casi più eclatanti e cioè a quelli che "disturbavano" un ordine precostituito, se vogliamo anche frutto del vizio, ma accettato o perlomeno tollerato fintanto che non sfociava "in malcontento sociale". L´istituto manicomiale era posizionato nel 500 a Santa Maria della Pietà a Piazza Colonna, per poi migrare alla Lungara e nel 900 sulla parte alta di via Trionfale. Tanti i dipinti che raffiguravano San Filippo Neri in scene monotematiche, o iconoclastiche (vedasi San Filippo Neri che resuscita Paolo Massimo, o la Pietà con San Filippo Neri e Angeli del Mastelletta). Pochi i dipinti che esaltavano la figura del Santo che prestava accoglienza ai pellegrini, o ai "diversi" ivi compresi i sofferenti di mente, (vedasi Niccolò Ricciolini in S.S. Trinità dei Pellegrini) o il santo accogliere nell´oratorio i giovani sottratti alle insidie della strada.
La chiesa cattolica volgeva lo sguardo in altra direzione dove, strumentali alla propria dottrina potevano essere il Brandi, il Carracci, il Pietro da Cortona a Roma, il De Magistris nelle Marche, il Luini e successori in Lombardia, e tantissimi altri, come quei dipinti auto celebrativi. Per tutti valga "Papa Urbano VII posa la prima pietra per S. Maria della Concezione" opera peraltro pregevole di Agostino Tassi, in senso strettamente tecnicistico.
Il nostro Paese nonostante le guerre imperialiste o di religione che sconvolgevano l´Europa, oltre le devastanti malattie, quali la peste o la sifilide, continuò peraltro a produrre "geniacci" anche negli stati pontifici sia nel campo filosofico con i Campanella, Giordano Bruno, ecc., scientifico con Galileo Galilei, Torricelli, nell´architettura con il Bernini e come visto su "www.il foglio dellarte.it" nel campo della pittura.
Accelerazione nella scienza e nella fantasia o nell´ispirazione, che purtroppo la Roma dei Papi non indugiò a rallentare anche nel campo dell´arte, laddove non vi era assonanza con i dogmi della chiesa.
Dopo questa divagazione, tornando alla curatissima e preziosa mostra all´Académie de France", possiamo concludere che i dipinti ivi esposti, non rappresentano solo una serie di pittori transnazionali, trapiantati o stagionanti a Roma nel 600 di scuola Caravaggesca, ma di pittori i quali anche se nella tecnica si rifanno al Caravaggio, forti della propria provenienza storica nordica e forse anticlericale, ci fanno rivivere con rappresentazioni vere e naturali, seppur forse eccessive e provocatorie, le tanti contraddizioni sociali di una Roma pervasa non solo da fasti, soprattutto di quelli che furono, ma da\ll´umana miseria frutto anche di un indicibile povertà e di un colpevole oltre che bigotto e miope classismo, od oscurantismo per ogni aspetto che attiene all´esaltazione sempre e comunque del "bello".
Sono del parere di chiudere l´articolo ricordando che il vino ben si sposa anche con l´allegrezza di un sinuoso corpo femminile oltre che con la miseria e la disperazione. Grande Lorenzo dei Medici nel sonetto "Il trionfo di Bacco e Arianna". "Questo è Bacco e Arianna belli e l´un dell´altro ardenti ecc.", raffigurati in più dipinti. Ne ho scelto uno (Figura 24 di Tiziano).
Un caldo invito a visitare la mostra la quale propone altri e diversi dipinti incentrati sempre sul tema trattato. Un grazie all´Académie de France.