ROMA Un lavoro ancora in corso, quello dell´artista americana Susan Harbage Page. Una minuziosa raccolta e classificazione di ogni genere di articoli rinvenuti lungo il confine tra gli Stati Uniti e il Messico. Pettini, calzini, spazzolini da denti: oggetti di vita quotidiana, persi, nel tentativo di oltrepassare la frontiera e raggiungere un nuovo e supposto benessere. L´artista fotografa prima gli oggetti sul posto, nel momento in cui li trova. In seguito, li trasporta nel suo studio, dove li fotografa nuovamente, in uno scenario neutro, attribuendo loro un´etichetta e un numero, per poi collocarli in un registro. Si tratta, in realtà, di una sorta di anti-archivio, poiché se un archivio, nel senso comune, è una mera raccolta di informazioni da conservare e mettere da parte, quasi dimenticandosene, in questo caso la finalità della raccolta è mantenere viva nella memoria la storia di gente sconosciuta.
L´artista ha iniziato il suo progetto nel 2007, dopo aver ascoltato una trasmissione radiofonica in cui si parlava dell´alto tasso di mortalità di quanti tentavano di oltrepassare clandestinamente la frontiera. Da quel momento è nato in lei il desiderio di approfondire le problematiche relative all´immigrazione negli Stati Uniti. La tematica, inoltre, la riguarda da vicino, poiché nello Stato in cui vive, il North Carolina, l´economia si basa soprattutto sull´agricoltura, che deve molto alla manodopera proveniente dal Messico e dall´America Latina.
Il 24 ottobre scorso la galleria LaStellina ArteContemporanea ha presentato il progetto di Harbage Page "Objects from the Borderlands: Anti-Archive from the U.S.-Mexico Border", che raccoglie il lavoro dell´artista degli ultimi otto anni.
Nelle sue ricerche, Harbage Page si è concentrata sulla migrazione che avviene attraverso il Rio Grande. Chi migra, infatti, nuota nel fiume e, una volta arrivato a destinazione, si cambia velocemente gli abiti bagnati per indossarne di asciutti, cercando di sparire il più velocemente possibile. Chi, invece, viene fermato dalla guardia di frontiera, viene obbligato a levare dalle tasche tutto ciò che non è essenziale. Harbage Page, con esercizio meticoloso, ha raccolto negli anni questi oggetti personali abbandonati lungo il confine, considerandoli come relitti di una cultura in cambiamento e di un´aspirazione a una vita migliore. In occasione della presentazione presso la galleria, l´artista ha realizzato anche una performance: su una cartina geografica degli Stati Uniti ha cucito alcune fotografie di quanto ritrovato.
Percependo, innanzitutto, il proprio lavoro come un dovere morale nei confronti delle vittime della clandestinità, Harbage Page ha preferito non tanto descriverne i volti e le fisionomie, quanto piuttosto mostrare gli oggetti appartenuti ai singoli, che ne narrano la vita e la sofferenza, discostandosi dalla fotografia documentaristica tradizionale.
Del resto, il lavoro sul campo è un aspetto fondante della pratica dell´artista. Negli anni, ha svolto quattro residenze internazionali: inizialmente ha analizzato la comunità delle monache di clausura del Monastero di Santa Maria Maddalena a Spello (1992); successivamente si è concentrata su un gruppo di donne beduine in Israele (1996), approfondendo, infine, la tematica della religione in Francia (2002) e del corpo femminile in North Carolina (2004).
I passaggi, i confini, gli incroci e le intersezioni sono al centro del lavoro di Harbage Page, che si prefigge, così, di esplorare la cultura di alcuni popoli, la traccia dei loro comportamenti e della loro marginalità, in modo da operare al contempo su diversi livelli: estetico, archeologico e archivistico.
LaStellina ArteContemporanea
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