É la notte del 16 marzo 1955: Nicolas De Staël apre la finestra del suo atelier ad Antibes e si fa precipitare nel vuoto. Aveva solo 41 anni. La morte dell´artista ha sempre sollevato molti interrogativi perché è avvenuta in un momento particolarmente felice e realizzato della sua carriera. Partire da essa per delineare la sua figura potrebbe risultare singolare, tuttavia il suo suicidio chiarisce il senso ultimo e inevitabile della sua tormentata e profonda ricerca artistica, rappresentandone l´epilogo e l´unica conclusione in definitiva possibile.
Nicolas De Staël nasce nel 1914 a San Pietroburgo e poco dopo emigra con la famiglia in Polonia. Rimasto presto orfano, viene affidato con le sorelle a una famiglia di Bruxelles, dove compie gli studi. Di indole ribelle, decide di affiancare all´insegnamento accademico l´esperienza di vita. Viaggia così in Olanda, in Francia, in Spagna e in Marocco, dove incontra nel 1937 la pittrice Jeannine Guillou, che diventa la sua compagna. L´anno successivo i due decidono di stabilirsi a Parigi, dove però vivono in grandi ristrettezze.
Nel 1940 si trasferiscono a Nizza, momento che riveste una grande importanza per la formazione del pittore. In quegli anni di guerra, infatti, la città fa parte della zona libera e ospita molti artisti fuggiti da Parigi, come Hans Arp, Le Corbusier, Sonia Delaunay e Alberto Magnelli. È proprio in prossimità di questi ultimi due che si formano le basi della pittura di De Staël, che opera un grande cambiamento nel suo fare creativo, passando dalla figurazione all´astrazione geometrica, di cui Magnelli è uno dei pionieri.
Tornato nel 1943 a Parigi, De Staël raggiunge la piena maturità espressiva, anche se la sua condizione disagiata non cambia molto. Nicolas viene inoltre provato dalla morte di Jeannine, che riesce a superare sposando poco dopo un´altra donna, Françoise Chapouton, che gli darà tre figli. Nel periodo parigino, l´artista prosegue il nuovo percorso intrapreso a Nizza, abbandonando definitivamente la rappresentazione diretta, per una forma più o meno astratta. Dipinge grandi quadri, in cui le forme, sebbene suggerite da oggetti reali - martelli, pinze, radici d´albero -, sono sostanzialmente libere da intenzioni figurative.
Le pitture degli anni 1946-48 sono caratterizzate da ritmi contrastati e violenti e da un forte senso di movimento. Sono opere complesse e opprimenti. Il colore viene applicato sulla tela con la spatola, determinando uno spesso strato di materia che genera un effetto quasi di bassorilievo. In queste opere, i toni duri e drammatici sono originati da un timbro cromatico scuro, in cui predominano i grigi e i bruni.
A cavallo degli anni Cinquanta, la carica di violenza delle opere di De Staël si placa. Le tele si illuminano maggiormente, diventando più tranquille e statiche. La tavolozza dell´artista si rischiara attraverso l´utilizzo del bianco e del giallo, assieme al verde e al grigio. In questo periodo l´artista attua un nuovo metodo compositivo, abbandonando le forme angolari delle tele precedenti. In questi lavori non sono più presenti le strisce di colore traversanti la tela come nelle opere precedenti, ma forme larghe e semplificate, trattate come superfici piatte. Tuttavia, Nicolas continua a utilizzare un impasto cromatico pesante, in cui il colore è applicato con la spatola.
Un´ulteriore evoluzione si verifica qualche tempo dopo, intorno al 1952, con il ritorno alla rappresentazione figurativa e con uno schiarimento dei timbri cromatici. Nel medesimo anno, due eventi concorrono a tale trasformazione. All´inizio dell´anno, il pittore si reca a Londra per una mostra personale e viene affascinato dalla ‘pittura all´aperto´ degli artisti inglesi ottocenteschi, il cui studio lo spinge a approfondire, nuovamente, la sua ricerca. Si interessa, ora, alla resa della luce e dell´atmosfera, cominciando a dipingere molto dal vero. Si dedica a realizzare un gruppo di paesaggi del nord della Francia, in cui la pasta materica degli anni precedenti si assottiglia e rarefa, e le cromie sono più chiare, in quanto in questo momento è la luce l´elemento fondante l´immagine. La scoperta di questa nuova luminosità fa sì che De Staël crei nelle opere di questo periodo un bagliore lieve e diffuso, completamente agli antipodi delle sue tele iniziali.
Nello stesso anno, l´assistere a un incontro di calcio allo stadio di Parigi "Parc des Princes" contribuisce ulteriormente al cambiamento dell´artista in direzione del figurativo. Il pittore è talmente impressionato dallo spettacolo della partita da tradurre immediatamente le sue sensazioni in una serie di piccoli studi di giocatori di calcio, anticipatori della grande composizione "Le Parc des Princes". In tali opere, i rettangoli e le forme colorate, che De Staël aveva utilizzato nelle opere di poco tempo prima, vengono ora a formare figure umane, semplici ma riconoscibili. In esse, tuttavia, lo spazio è appiattito come nei precedenti lavori e le figure sono stagliate su un fondo cromatico uniforme.
Negli anni successivi il pittore prosegue la sua nuova via con le serie dei "Vases de Fleurs", delle "Nature Morte" e dei "Paysages". In questi ultimi, la stesura pittorica arriva al massimo grado di fluidità e trasparenza; la tavolozza è improntata ai toni del bianco e dell´azzurro e il metodo di composizione è semplificato, con la resa degli elementi della natura attraverso poche superfici di colore.
L´ultima fase dell´attività di De Staël vede l´artista approfondire ulteriormente la ricerca di una maggiore luminosità e rarefazione. In questo periodo il pittore viene in contatto con l´abbacinante luce mediterranea, attraverso una serie di viaggi, prima nel sud della Francia, poi in Italia. Il soggiorno dell´estate del 1953 in Sicilia è particolarmente significativo. Nella serie dedicata alla città di Agrigento i colori tornano a farsi più vivi e intensi, ma questo è solo un portato della scoperta di una luminosità ancora più forte e potente. È in questa fase che De Staël scopre nella sua pienezza la luce accecante del Mediterraneo e ne rimane sconvolto. Continuando la ricerca di una nuova luminosità, iniziata poco tempo prima a Londra, De Staël porta la sua intuizione alle estreme conseguenze: i colori sono ora vivi e contrastanti, quasi violenti. L´accecamento provato da un uomo del Nord in presenza di una forte situazione luminosa lo porta a fondere tutti i colori della tavolozza in quello che li esclude tutti, come il nero del cielo di "Agrigente".
Nell´autunno del 1954 De Staël decide di abbandonare la sua famiglia e di prendere uno studio ad Antibes, una piccola città della Provenza, di fronte al mare. Questo periodo finale della sua attività lo vede portare fino in fondo quel contatto con la luce che egli aveva ricercato fin dal suo soggiorno londinese. Nelle tele realizzate ad Antibes ("Coin d´atelier fond bleu", "La Cathédrale", "Les Mouettes"), De Staël prosegue e porta a conclusione quel suo dedicarsi interamente a cromie chiare e soffuse, in particolare blu e bianche. Nelle opere finali si assiste dunque alla presenza di una luce totale, che impregna di sé tutti gli oggetti, rendendoli quasi evanescenti. Essi sono ridotti al minimo, quasi delle sagome opalescenti imbevute di luminosità. La materia è portata al suo definitivo alleggerimento e smaterializzazione; è finalmente depurata e sciolta, attraverso l´uso del pennello al posto della spatola, per realizzare strati pittorici ancora più sottili e fini.
Quello di Antibes è il più alto e poetico approdo del lavoro di De Staël, ma anche l´estremo. Il pittore, in una delle sue lettere datate il giorno del suicidio, confida infatti a un suo amico di non avere più la forza per finire i suoi quadri. Ha passato tutta la vita a liberarsi dalla materia scura e grumosa; con tenacia è arrivato a comprendere cosa sia la luce in pittura. Tuttavia, è una scoperta che lo sconvolge e lo impossibilita a continuare. Il suo percorso creativo tormentato e sofferto è arrivato al suo punto più alto, estremo e irreversibile. Un punto di non ritorno, un imperativo che lo obbliga a fondersi con quella luce che ha ricercato per tutta la vita.
Come la sua opera, col tempo, ha dunque teso a farsi più sottile e più chiara, e la pasta pittorica a smaterializzarsi e a rarefarsi, così anche il suo percorso spirituale è divenuto più profondo e sensibile, avvicinandosi al fattore luminoso. Egli arriva progressivamente ad annullarsi in esso; ne intuisce la presenza, lo cerca, e nel trovarlo ne resta travolto, in una totale e finale catastrofe, il suicidio. In quest´ultimo e definitivo passaggio, De Staël squarcia dunque il muro materico che aveva costruito negli anni precedenti e vi rinviene dietro ciò che esso celava, la lievità e l´intangibilità luminosa.